Massimo Cacciari, Icone della legge, Adelphi 1985. (In libreria la nuova edizione del 2025).
Come spesso avviene nella scrittura di Cacciari, il suo è un libro che non fa sconti. Il linguaggio è impietosamente filosofico, denso, difficile e perfino, ma direi necessariamente, tecnico. È però un libro molto bello che riprendo qui per un luogo, per un topos che a mio avviso illustra e chiarifica in modo magistrale.
Sapete com’è andata con la scrittura del saggio di Freud su Mosé e il monoteismo. La tesi è che Mosé fosse stato un egiziano, un sacerdote seguace del monoteismo, seguace del culto di Aton, il Dio unico identificato col disco solare. Perseguitato dagli egiziani avrebbe condotto gli ebrei fuori dall’Egitto per essere poi ucciso da popolo d’Israele e, in seguito, da questo stesso popolo collocato dalla tradizione nel posto del padre fondatore e liberatore. Il saggio è del 1938 ed anticipato da un breve scritto del 1934 (Der Mann Moses). Immaginatevi la situazione: Freud ebreo riuscito per il rotto della cuffia a lasciare l’Austria per rifugiarsi a Londra, gli ebrei perseguitati; il suo saggio sembrava una specie di pugnalata alla schiena dell’ebraismo: non solo il popolo deicida, ma il popolo che aveva ucciso l’egiziano Mosé e che, rimosso l’omicidio, ne aveva fatto nella propria tradizione il fondatore, colui che aveva condotto Israele alla terra promessa. Nella migliore delle ipotesi sembrava una specie di captatio benevolentiae, un tentativo per farsi accreditare e far accreditare la psicoanalisi come scienza dei gentili e non solo come una scienza segnata dal tarlo dell’ebraismo. Freud però non cede ai consigli e alle pressioni per non pubblicare il testo: la verità gli sta più a cuore dell’opportunismo politico. È qui viene Cacciari che ci dice in modo straordinario cos’è la verità per Freud:
L’impresa “né gradevole né facile”, cui Freud si accinge, non consiste perciò, essenzialmente, nel sottrarre a Israele il più grande dei suoi figli, non consiste nel suo contenuto specifico, per quanto lacerante esso sia, ma nel denunciare la tradizione come l’Entstellung che impedisce qualsiasi pretesa di “verità”, qualsiasi operazione ricompositiva di un centro, di un testo, di una Origine (pp. 151 – 152).
Entstellung è termine freudiano, in particolare la tradizione, la narrazione tradizionale canonizzata è per sua natura entstellt, spiazzata, sradicata, deformata, distorta.
E, prosegue Cacciari:
La forma di interpretazione di cui qui si tratta, ha dunque a che fare con il verosimile, non con il vero, poiché essa è costretta ad usare del materiale della tradizione, che costituisce Entstellung del testo originario (p. 149).
Lascio qui la questione filosofica che non è altra, in questo punto, dalla questione psicoanalitica: la rinuncia alla verità, l’urto inevitabile del nostro procedere interprentante contro lo scoglio del verosimile, non è però rinuncia la ricerca, al desiderio. Vengono a mente le sirene descritte da Omero: la certezza del naufragio accompagnata dal desiderio dello stesso.
A me pare un punto importante in cui la psicoanalisi incontra la filosofia. Wittgenstein ha pensato ad un certo punto di averla fatta finita con la filosofia: esplicitiamo la struttura logica del linguaggio e fine dei giochi, niente più domande “filosofiche” e niente più giri viziosi. Ha continuato a pensarci inorridito per trent’anni: perché non mi basta sapere che circa ciò di cui non si può parlare è necessario, non si può far altro che tacere? Cosa mi spinge a chiedermi ancora?
Leggete il libro di Cacciari, non da una risposta, ma troverete di che articolare, al piccolo prezzo di qualche tecnicismo filosofico da traversare, di che articolare la domanda.